Come in uno specchio

L’immagine del tempo

I miei “progetti fotografici”, sono raccolte intime, revisioni, ri-proposizioni, riflessioni nello specchio della mia vita professionale, nascono guardando le nudità di Paolina o di una immagine di Mapplethorpe, una statua dorata, un gesto di Caravaggio, le luci di una galleria che sfilano nel ronzio del motore … P.M.

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La fotografia è un mezzo attraverso cui i messaggi ci giungono da un altro mondo. O.W.

Attraverso un trattamento eseguito con pastelli e acquerelli, le immagini si emancipano dalla loro natura meccanica e diventano corpi ibridi. Se la fotografia scopre una data realtà, l’intervento pittorico la rilegge e la riscopre, trasforma l’opera in un’autentica immagine mentale, una proiezione idealizzante e idealizzata di questi luoghi che hanno segnato la storia dell’architettura e della cultura italiana.

 

Sous l’action de la main du peintre, par un traitement effectué au pastel et à l’aquarelle, les tirages s’émancipent de leur nature mécanique, devenant des corps hybrides. Si la photographie révèle une certaine réalité, l’intervention picturale la relit et la réécrit, transforme l’oeuvre en une véritable image mentale. Une projection idéalisante et idéalisée de ces lieux qui ont marqué l’histoire de l’architecture et de la culture italienne.

Under the action of the painter’s hand, by a treatment carried out with pastel and watercolor, the prints emancipate from their mechanical nature, becoming hybrid bodies. If the photograph reveals a certain reality, the pictorial intervention re-reads it and rewrites, transforms the work into a mental image. An idealizing and idealized projection of these landmarks of Italian architecture and culture.

In quelle volute di carne circola il sangue barocco. Tra le pieghe della Beata Ludovica (Albertoni) si spiega, dispiega, ripiega, e circolando si evolve, la metafora del Barocco che replicata all’infinito tutto coinvolge e pervade l’intera cultura.

In quelle pieghe, volute, evolute nasce e si cela qualcosa che prelude alla riflessione del moderno sino a Pasolini “… non so dire, in cosa consista l’incanto … voglio morire qui … non di pace, come con Lawrence a Ravello, ma di gioia … qui dove il barocco pare di carne.” 

Chiesa del Gesù di Casa Professa-Palermo

Chiesa del Gesù di Casa Professa, Palermo

Museo di Palazzo Grimani-Venezia

Palazzo Grimani, Venezia

Museo di Palazzo Grimani-Venezia

Palazzo Grimani, Venezia - Il ratto di Ganimede

Museo di Palazzo Grimani-Venezia

Palazzo Grimani, Venezia

Palazzo Te-Mantova

Palazzo Te, Mantova

Palazzo Madama-Torino

Palazzo Madama, Torino

Palazzo Reale-Torino

Palazzo Reale, Torino

Reggia di Venaria Reale

Metamorphose, Reggia di Venaria, Torino

Reggia di Venaria Reale

Reggia di Venaria Reale, Torino, Galleria Grande

Reggia di Venaria Reale

Reggia di Venaria Reale, Torino, Galleria Grande

Reggia di Venaria Reale-Sant'Uberto

Reggia di Venaria Reale, Torino, Sant’Uberto

Palazzina di Caccia-Stupinigi

Palazzina di Caccia, Stupinigi, Torino

Reggia di Caserta

Reggia di Caserta, Criptoportico

Reggia di Caserta

Reggia di Caserta, Fontana di Diana e Atteone

Reggia di Caserta

Reggia di Caserta

Reggia di Caserta

Reggia di Caserta

Reggia di Caserta

Reggia di Caserta

Serra di Racconigi

Serre del Castello di Racconigi

Duomo-Mantova

Duomo di Mantova

L’all-oro dei cieli

“Sfida la gravità, la sua natura, il mare, il cielo azzurro, così raro in un universo nero; in un breve istante, ricade elegante: il pesce volante”. 

Abitare il cielo - Il desiderio di superare il confine terreno e la rinuncia alla stabilità crea nuovi equilibri. Questo progetto si propone di [ri]frequentare, [ri]conoscere, [ri]discutere i miti eroici che oggi con difficoltà abitano il nostro cielo [i personaggi, i simboli i miti scolpiti nella pietra e fusi nel bronzo che a fatica si ergono nel paesaggio contemporaneo]; la gravità contrapposta all’immaterialità, nel brillio del sole e nel cielo nero.

Composer un opéra métaphorique en bleu et or via la photographie, ombres et lumières, majeurs et mineurs, fureurs et douceurs… voilà un challenge magistralement réussi par la photographe Patrizia Mussa, lors de son dernier opus : “Abitare il cielo” ( habiter le ciel ).

Photographe flâneuse, capteuse d’inédits, d’architectures et de villes, de paysages urbains, figés ou mouvants… Patrizia Mussa est une artiste ‘aux semelles de vent’ qui marche sur terre, va, vient, voyage, fréquente assidument le ciel, par désir souvent, nécessité parfois. Ses évasions multiples sont celles où ses pas la conduisent, où sa lumière d’élection, lumière d’hiver, presque « absente », fine, poudrée, subtile, « intelligente » lui souffle des défis à cadrer. 

Après nous avoir offert, entre autres, de frémissantes images de théâtres oubliés, de châteaux italiens, de jardins et décors du monde, une vision inédite et brillante des ondoyantes géométries de La Grande Motte due à l’architecte utopiste Jean Balladur ou bien encore l’intime respiration d’une statue de marbre - l’ineffable Pauline Borghèse, de Canova -  elle a choisi lors de son dernier opus de rendre hommage aux habitants de l’azur.

Son choix s’est porté sur quatre figures allégoriques : les Renommées parisiennes, ornant le pont Alexandre III et sur le délicieux Hermès de la Bastille, habitant le plus ailé des cieux. Ces sculptures, habillées d’or sur fond d’infini, deviennent, sous le regard de Patrizia Mussa, une méditation infiniment poétique sur les demeures du ciel.

On retrouve ici, comme de coutume, le goût de la photographe pour cette luminosité « muette » (celle de Février-Mars) qui lui permet un dessin à la fois net et aérien de son sujet. S’ajoute la transparence presque palpable d’une immense écharpe d’azur baignant l’ensemble.

Le bleu d’une limpidité méditerranéenne, celui qu’elle aime courtiser, lui procure toujours « un très intense sentiment de familiarité, de bonheur et de liberté », dit-elle.

Les bleus de “Abitare il Cielo” ont le visage d’un infini qui rappelle celui du célèbre poème de Giacomo Leopardi, L’infinito : « Mi illumino di immenso ». Esther Henwood (écrivain)

Après Paris, Patrizia Mussa poursuivra son projet “Abitare il cielo” à travers le monde.

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Afghanistan, Yémen, Ethiopie

“Un tempo luoghi di incanto, campi assolati, abitati con austera dignità, patrimoni universali, riserve di cultura e risorse, ora terreni di guerre estranee e inattese, teatri di violenze, brutalità e spregio calcati da orde di attori mendaci al soldo di cacciatori di teste e di tesori occulti”.

Autrefois lieux enchantés, champs ensoleillés, aux habitants dignes et austères, patrimoines universels, réserves de culture et de ressources, scènes de guerres étrangères inattendues, théâtres de violences, de brutalité et de mépris, foulés par des hordes d’acteurs fallacieux, à la solde de chasseurs de têtes et de trésors cachés”.

“Once places of enchantment, sunny fields, inhabited with austere dignity, universal heritages, reserves of culture and resources, now land of strange and unexpected wars, theaters of violence, brutality and contempt trampled by hordes of mendacious actors in the pay of headhunters and of hidden treasures.”

Afghanistan, Yemen, Etiopia, Paesi che per il viaggiatore occidentale erano un tempo meta di viaggi iniziatici, di esperienze esotiche, di avventure. Oggi la stupidità umana li ha trasformati in luoghi inaccessibili, li ha resi testimoni di violenza e brutalità, teatri di guerre la cui durata e la cui bestialità sono inenarrabili.
Patrizia Mussa li ha percorsi negli anni delle possibilità, quando erano ancora, come lei stessa scrive, “riserve di cultura e di risorse”.

Aveva attraversato le vallate ampie dell’Afghanistan, affascinata della vastità dei suoi orizzonti. Si era fermata di fronte alle architetture magiche di Sana’a e davanti ai deserti arsi e disegnati dello Yemen. Aveva visto in Etiopia le chiese rupestri di Lalibela e le oasi di verde.

Le sue diapositive, accuratamente conservate, le consentono oggi di compiere un viaggio a ritroso nel tempo. I luoghi che l’avevano sedotta, in quell’arresto del flusso temporale che secondo John Berger è possibile grazie alla fotografia, hanno conservato intatta la loro bellezza. Il secondo momento, che sempre secondo Berger attiene alla “discontinuità” (1) ossia al momento successivo in cui si osserva l’immagine realizzata, è arricchito da anni di esperienze e di lavori che permettono a Patrizia Mussa di “vederle” con uno sguardo contemporaneo, di rileggerle secondo nuove sequenze e cromie inedite.

Patrizia Mussa pratica da anni una fotografia che documenta e interpreta, capace di testimoniare ma anche di cogliere e restituire le emozioni. Le sue foto dell’Afghanistan, dell’Etiopia, dello Yemen, ricreano l’incanto che coglieva il viaggiatore di fronte a luoghi magici, dalla natura incontaminata, dove era possibile vivere con austera dignità. Il suo viaggio in questi che erano “teatri senza guerra” non ha origini nella nostalgia o nel rimpianto di tempi sereni, ma vuole essere un monito doloroso che ci metta di fronte agli spaventosi sprechi di vite e di culture dei quali l’umanità si è resa e si rende colpevole.

Giovanna Calvenzi

(1). John Berger, Capire una fotografia, Contrasto, Roma 2014, pagina 86

 

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Band-e-Amir  Afghanistan Photopastel 2016

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Band-e-Amir  Afghanistan Photopastel 2016

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Band-e-Amir  Afghanistan Photopastel 2016

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Band-e-Amir  Afghanistan Photopastel 2016

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Al Hajjarah Yemen Photopastel 2016

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Yemen Photopastel 2016

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Sadha Yemen Photopastel 2016

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Yemen Photopastel 2016

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Kawkaban Yemen Photopastel 2019

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Sahara Yemen Photopastel 2016

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Ethiopia Photopastel 2016 

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Lalibela Ethiopia Photopastel 2016

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Lalibela Ethiopia Photopastel 2016

La Grande-Motte est en quelque sorte un lieu saint …

La Grande-Motte est en quelque sorte un lieu saint : les hommes et les femmes viennent y adorer le soleil. Jean Balladur

“Le Temple du soleil” è un rilievo contemporaneo della ville nouvelle che Jean Balladur, cugino del primo ministro Édouard, realizza negli anni sessanta nei pressi di Montpellier come “forme éminente d’une évocation de l’Esprit dans l’apparence du monde vécu”.

La luce brillante, il cielo terso pulito dal mistrale, padrone di casa di questa terra, permette di cogliere l’istante, di fermare il pensiero, di riflettere sulla carta l’immagine dello spirito di un luogo così ricco di memoria. 

Uno spirito visionario proiettato verso un mondo futuribile di cui le pesanti tracce lasciate sul fronte del mare ritrovano umanità nelle abbondanti aree protette di giardini boschivi, nelle dune ed in generale nella terra riscattata alla palude.

Questa collezione di particolari isolati costituisce il catalogo, l’abaco formale che riflette l’immaginario dell’architetto rivelatore di quel forte desiderio di abbreviare il suo tempo contemporaneo in favore di futuro allora certo, infallibile e migliore.

Oggi bruciando e sbiadendo nella luce vivida del sole quel presente dai nomi roboanti scritti sulle facciate ripropone un modo antico che rivive una nuova vita un po’ vintage un po’ modernariato, un vero e proprio nuovo prodotto per “le temps du soleil”.

Un ritorno primordiale, una chiamata dello spirito, la necessità di uno spazio e un panorama certo, intoccabile, immutabile, ripetitivo e umanamente eterno: il richiamo verso l’aria libera del mare spesso attrae sui litorali, seasides, waterfronts, sur le bord de la mer, su quel confine tra terra, cielo e mare, architetti, utopisti e politici illuminati decisi a giocare una importante partita della propria vita. pvl

A contemporary relief of the “ville nouvelle” that Jean Balladur, implemented in the 1960s near Montpellier, a return to origins, a call of the spirit, the need for a space and a panorama that are certain, untouchable, unchanging, repetitive and humanly eternal: the call to the open air of the sea often attracts to the coastlines, the seasides, waterfronts, sur le bord de la mer, on the border between earth, sea and sky – architects, utopians and enlightened politicians determined to play an important game in their lives.

A visionary spirit projected towards a futuristic world whose distinct traces left on the sea-front re-discover humanity in plentiful protected woodland and garden areas, the dunes and in general in the land reclaimed from the swamp; a collection of isolated details that forms the catalogue, the formal abacus reflecting the imagination of the architect-revealer and his strong desire to foreshorten contemporary time in favour of a future that was then still certain, infallible and better. pvl

 

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Le Temple du Soleil - TDS13_P05 - 2013

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Le Temple du Soleil - TDS13_P07 - 2013

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Le Temple du Soleil - TDS13_P04 - 2013

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Le Temple du Soleil - TDS13_P08 - 2013

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Le Temple du Soleil - TDS13_P02 - 2013

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Le Temple du Soleil - TDS13_P03 - 2013

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Le Temple du Soleil - 2013

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Le Temple du Soleil - TDS13_P16 - 2013

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Le Temple du Soleil - TDS13 - 2013

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Le Temple du Soleil - TDS13_P35 - 2013

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Le Temple du Soleil

Une histoire de Beauté

... Mon Cher, mon portrait en marbre n’a été fait que pour votre seul plaisir. Que ce dernier donc n’existe plus, il vaut mieux qu’il reste caché aux yeux de la famille ... Paolina Borghese Bonaparte

... I don’t understand the way my pictures are... Taking a picture and sexuality are parallels. They ’are both unknowns. And that’s what excites me most in life - the unknown ... Robert Mapplethorpe

... la sensualité corrompt le marbre qui devient rosacé, encore une fois il semble possibile de pouvoir fixer l’instant, mais la lumière change le regard des pierres et plus rien n'existe hors du temps. L’image sans son propre temps n’a pas de pensée ou de parole, mais c’est une mue vide laissée sur le chemin. P.M.

“Encore” est un travail réalisé pour le groupe francais LVMH, une histoire de beauté et de silence ...

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Il tramonto si fonde con l'alba, la notte non verrà.

La luce del giorno non si arrende alla notte, il tempo è sospeso, il viaggio calmo, silenzioso, disteso verso un orizzonte colmo di sfumature, non di un’alba, non di un tramonto ma la tenebra non verrà!

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Non sempre razionale, non sempre emotiva, non sempre indispensabile la ricerca di una buona ventura sta alla base di ogni nostro desiderio di nuove mete

Un ètè italien - Maison Européenne de la Photographie, Paris

Parfois irrationnelle, sans même que l'émotion ou la nécessité ne l'inspire, la quête del la buona ventura pousse irrésistiblement l'être humain vers de nouveaux accomplissements.

En ces temps de migrations libres et sauvages, ce n'est ni la survie ni la répression qui ont poussé Carlo, Maurizio, Riccardo, Toni, Eleonora tenter leur chance sur cette terre généreuse et amicale.

Albagaia, Galatea, Giulia, Niccolo, Pietro, Federico, eux, sont, nés ici. Ils y ont leurs racines, ils y ont grandi. Mais tout au fond d'eux chante la petite musique originelle qui leur rappelle, avec ténacité et évidence, par de menus signes et gestes, leur appartenance première.

Berceau de la renaissance, centre de gravité du Grand Tour, l’Italie a toujours fasciné les artistes. La patrie de Dante a façonné l’imaginaire européen et a nourri le regard des peintres et des cinéastes. Mais qu’en est-il de la photographie? 

Longtemps délaissée, elle surgit aujourd’hui avec une créativité et une vitalité renouvelées. Non seulement l’Italie redécouvre ses photographes, les frères Alinari par exemple, mais elle affirme désormais, à  travers des oeuvres plus récentes, comme celles de Giacomelli ou Luigi Ghirri, une identité spécifique.

A travers la collection Anna Rosa et Giovanni Cotroneo, défilent, des années 1950 à  aujourd’hui, les grands classiques, mais aussi les nouveaux talents. Passionné et à  l’occasion mécà¨ne, ce couple de collectionneurs a toujours eu à  coeur de créer des passerelles entre photo, vidéo et installations. L’exposition se termine ainsi sur une création originale d’Alfredo Pirri, œuvre interactive en hommage à «l’écriture de lumière».

L’exposition de Gabriele Basilico retrace l’itinéraire rigoureux d’un artiste qui a su construire, entre classicisme et modernité, une oeuvre forte questionnant l’architecture des villes et la place de l’homme dans le paysage urbain. C’est dans cet esprit que s’inscrit le travail de Francesco Jodice, qui présente une série de photographies grandeur nature de passants saisis au coeur des villes dans leurs conduites quotidiennes et stéréotypées.

Enfin, inspirée du célèbre tableau du Caravage, «La Buona Ventura», de Patrizia Mussa, rassemble les portraits de quelques uns de ces Italiens qui ont choisi Paris, non seulement pour y vivre, mais pour y apporter leur talent et un peu de leur fantaisie et de leur légendaire joie de vivre.

Et si, comme en contrepoint, l’artiste espagnol Angel Marcos nous invite à  Cuba, c’est encore une forme d’hommage à  cette latinité qui, dans notre culture, a toujours su généreusement offrir à l’Europe ses sonorités et ses couleurs.

Jean-Luc Monterosso - Directeur de la Maison Européenne de la Photographie

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Maurizio Galante

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Carla Sozzani

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Cinzia Pasquali

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Riccardo Tisci

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Bruno Frisoni

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Antonio Belloni

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Eleonora Abbagnato

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Valerio Adami

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Laura Serani

Le catene di smontaggio

Un mondo nuovo. Pochi immaginano che le fabbriche della carne siano come le fabbriche delle automobili. I macellatori di Chicago erano stati i primi a impiegare con successo le tecniche della produzione di massa e delle linee di smontaggio delle bestie, modello che l’industria dell’auto copiava adattandolo alle sue necessità. I macellatori di Chicago erano stati i maestri di F.W.Taylor e di Henry Ford, ben prima della “world car” veniva il “world beef”.

Nel 1995 Patrizia Mussa esponeva alla Palazzina della Promotrice delle Belle Arti di Torino, col titolo “Tra tagli forti”, una selezione di immagini ricavate dal lavoro eseguito al mattatoio del capoluogo piemontese. Fotografie stupefacenti, che facevano dimenticare l’idea a cui ci avevano abituato la narrativa e la cinematografia ispirate ai famosi macelli di Parigi e di Detroit.

Anche Torino aveva avuto i suoi vecchi macelli le cui immagini tornavano alla mente come fantasmi di un mondo dimenticato fatto di lanci di trippe, di interni alla Rembrandt, di carretti carichi di teste di vitelli, bianche come busti marmorei neoclassici, di feritoie esalanti vapori dolciastri, di spari e di tombini sollevati con la testa da topi, grossi come lepri, alla ricerca di cibo. Era un mondo che nascondeva meno gli orrori su cui era fondato e al quale, bene o male, ci si era abituati e dal quale avevamo imparato a difenderci.

Quello in cui Patrizia Mussa ci introduceva era un mondo nuovo. Pochi si immaginavano a quell’epoca che le fabbriche della carne fossero come le fabbriche delle automobili e che i macellatori di Chicago erano stati i primi a impiegare con successo le tecniche della produzione di massa e delle linee, in questo caso di smontaggio delle bestie, modello che l’industria dell’auto copiava adattandolo alle sue necessità. Si scopriva che i macellatori di Chicago erano stati i maestri di  F.W.Taylor e di Henry Ford, e che ben prima della “world car” veniva il “world beef”.

Interpretando la realtà nascosta del nuovo mondo bovinizzato e della bistecca secolarizzata e di massa, le immagini di Patrizia Mussa facevano luce sugli spazi puliti e luminosi e su particolari architettonici che sembravano esclusivi degli stabilimenti della meccanica. Identico il senso della ieraticità, della razionalità, della serialità e dell’organizzazione su basi semoventi della moderna manifattura in linea.

Non importa che questo modello produttivo sia stato sostituito da impianti più piccoli, dalla fabbrica “corta” e integrata, computerizzata e flessibile, costruita secondo le regole del postfordismo. Importa il fatto che le immagini di Patrizia Mussa abbiano raccontato il passaggio da un mondo cruento e senza veli a uno dai toni smussati in cui la corporeità della carne è stata allontanata. In questo senso sono una meditazione sulla scomparsa della violenza del sacro e sul trionfo del profano tecnologico. Immagini profetiche, precedono lo scandalo della “mucca pazza” e rappresentano il riferimento visuale del punto di arrivo di una cultura che ha reso possibile la tragedia dell’encefalite spongiforme bovina e della variante umana Creuzfeldt Jacob, testimonianza del passaggio della zootecnia ispirata all’efficienza e al calcolo della massima produttività.

Non si capisce come il consumo di carne abbia potuto resistere e superare i flagelli e lo spavento causati dalla mucca pazza se non scavando sul mistero del reale valore nutritivo della carne, che non è solo quello delle sue proteine. Il fatto è che la carne “fa bene”, o faceva bene, alla mente e al carattere di chi la consuma. Studi approfonditi hanno dimostrato come senza consumo rituale di carne non vi sarebbe società. Una scoperta che viene fatta risalire ad una ipotesi genealogica sull’evoluzione delle comunità primitive, ipotesi secondo la quale fattore centrale del controllo della violenza sarebbe stato un episodio primordiale di violenza uguale e contraria che avrebbe allontanato quella in cui era caduta una di dette comunità. La ripetizione di questo accadimento miracoloso avrebbe dato vita al rito carnivoro, prima cannibalesco e poi dirottato su una vittima sostitutiva animale. Di qui la domesticazione, sviluppatasi per poter disporre del materiale necessario alla consumazione del rito, diventato preventivo e scaramantico.

In questo quadro, la condivisione del consumo di carne, unita ai benefici del rito, sarebbe alla base del piacere della carne e del suo valore nutritivo. Non si sarebbe cominciato a mangiare carne perché si hanno i denti, ma questi ultimi sarebbero cresciuti pari passo con la scoperta del valore sociale del consumo di carne. Non secoli, ma millenni di evoluzione starebbero alla base di questa misteriosa vicenda che lo sviluppo industriale, economico e demografico e i bisogni alimentari crescenti, a cui è andata incontro la zootecnia di massa, hanno secolarizzato e resa profana.

È sul fondale tenebroso di queste considerazioni che le immagini di Patrizia Mussa ci segnalano il punto a cui siamo arrivati nel cammino della evoluzione non solo alimentare.   

Oddone Camerana    

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