Nel 1995 Patrizia Mussa esponeva alla Palazzina della Promotrice delle Belle Arti di Torino, col titolo “Tra tagli forti”, una selezione di immagini ricavate dal lavoro eseguito al mattatoio del capoluogo piemontese. Fotografie stupefacenti, che facevano dimenticare l’idea a cui ci avevano abituato la narrativa e la cinematografia ispirate ai famosi macelli di Parigi e di Detroit.
Anche Torino aveva avuto i suoi vecchi macelli le cui immagini tornavano alla mente come fantasmi di un mondo dimenticato fatto di lanci di trippe, di interni alla Rembrandt, di carretti carichi di teste di vitelli, bianche come busti marmorei neoclassici, di feritoie esalanti vapori dolciastri, di spari e di tombini sollevati con la testa da topi, grossi come lepri, alla ricerca di cibo. Era un mondo che nascondeva meno gli orrori su cui era fondato e al quale, bene o male, ci si era abituati e dal quale avevamo imparato a difenderci.
Quello in cui Patrizia Mussa ci introduceva era un mondo nuovo. Pochi si immaginavano a quell’epoca che le fabbriche della carne fossero come le fabbriche delle automobili e che i macellatori di Chicago erano stati i primi a impiegare con successo le tecniche della produzione di massa e delle linee, in questo caso di smontaggio delle bestie, modello che l’industria dell’auto copiava adattandolo alle sue necessità. Si scopriva che i macellatori di Chicago erano stati i maestri di F.W.Taylor e di Henry Ford, e che ben prima della “world car” veniva il “world beef”.
Interpretando la realtà nascosta del nuovo mondo bovinizzato e della bistecca secolarizzata e di massa, le immagini di Patrizia Mussa facevano luce sugli spazi puliti e luminosi e su particolari architettonici che sembravano esclusivi degli stabilimenti della meccanica. Identico il senso della ieraticità, della razionalità, della serialità e dell’organizzazione su basi semoventi della moderna manifattura in linea.
Non importa che questo modello produttivo sia stato sostituito da impianti più piccoli, dalla fabbrica “corta” e integrata, computerizzata e flessibile, costruita secondo le regole del postfordismo. Importa il fatto che le immagini di Patrizia Mussa abbiano raccontato il passaggio da un mondo cruento e senza veli a uno dai toni smussati in cui la corporeità della carne è stata allontanata. In questo senso sono una meditazione sulla scomparsa della violenza del sacro e sul trionfo del profano tecnologico. Immagini profetiche, precedono lo scandalo della “mucca pazza” e rappresentano il riferimento visuale del punto di arrivo di una cultura che ha reso possibile la tragedia dell’encefalite spongiforme bovina e della variante umana Creuzfeldt Jacob, testimonianza del passaggio della zootecnia ispirata all’efficienza e al calcolo della massima produttività.
Non si capisce come il consumo di carne abbia potuto resistere e superare i flagelli e lo spavento causati dalla mucca pazza se non scavando sul mistero del reale valore nutritivo della carne, che non è solo quello delle sue proteine. Il fatto è che la carne “fa bene”, o faceva bene, alla mente e al carattere di chi la consuma. Studi approfonditi hanno dimostrato come senza consumo rituale di carne non vi sarebbe società. Una scoperta che viene fatta risalire ad una ipotesi genealogica sull’evoluzione delle comunità primitive, ipotesi secondo la quale fattore centrale del controllo della violenza sarebbe stato un episodio primordiale di violenza uguale e contraria che avrebbe allontanato quella in cui era caduta una di dette comunità. La ripetizione di questo accadimento miracoloso avrebbe dato vita al rito carnivoro, prima cannibalesco e poi dirottato su una vittima sostitutiva animale. Di qui la domesticazione, sviluppatasi per poter disporre del materiale necessario alla consumazione del rito, diventato preventivo e scaramantico.
In questo quadro, la condivisione del consumo di carne, unita ai benefici del rito, sarebbe alla base del piacere della carne e del suo valore nutritivo. Non si sarebbe cominciato a mangiare carne perché si hanno i denti, ma questi ultimi sarebbero cresciuti pari passo con la scoperta del valore sociale del consumo di carne. Non secoli, ma millenni di evoluzione starebbero alla base di questa misteriosa vicenda che lo sviluppo industriale, economico e demografico e i bisogni alimentari crescenti, a cui è andata incontro la zootecnia di massa, hanno secolarizzato e resa profana.
È sul fondale tenebroso di queste considerazioni che le immagini di Patrizia Mussa ci segnalano il punto a cui siamo arrivati nel cammino della evoluzione non solo alimentare.
Oddone Camerana